Il governo mette il made in Italy al centro della sua strategia e stanzia 261 milioni di euro da spendere nel solo 2015 per sostenere le produzioni italiane all’estero e permettere anche alle piccole imprese di esportare. Ulteriori investimenti seguiranno negli anni successivi. Dopo le polemiche perché nella legge di Stabilità erano spariti gli stanziamenti previsti dal “piano straordinario per il made in Italy”, i fondi non solo sono stati trovati ma sono quasi 100 milioni in più del preventivato. “Mai nessun governo aveva investito così tanto”, dice Carlo Calenda, vice ministro dello Sviluppo economico che ha coordinato il progetto. Il primo “pacchetto” di interventi sta per partire e riguarda la moda: 15 milioni di euro che serviranno a sostenere la filiera tessile italiana principalmente attraverso le fiere.
Si parte da Milano Unica, il salone presieduto da Silvio Albini, che sente la concorrenza della francese Premiere Vision. Quasi un paradosso, visto che le produzioni di eccellenza nei tessuti sono italiane e non francesi. Per questo oltre a rafforzare l’edizione italiana – per esempio con la partecipazione in forze dei produttori comaschi che oggi gravitano più su Parigi che su Milano – sono previsti interventi speciali negli Stati Uniti e in Cina. Su modello di quanto già fatto quest’anno con Pitti, il salone della moda maschile che era “sotto attacco” di Londra. Per il mercato statunitense (verso il quale il potenziale di crescita del nostro export del settore è pari a circa mezzo miliardo di euro al 2016), oltre alla creazione di Unica Usa a partire dal 2015, è prevista una campagna straordinaria di sostegno della filiera italiana presso le principali catene distributive e i negozi specializzati di tutto il Paese, partendo dagli Stati tradizionalmente meno “battuti”, come il Texas e l’Arizona, fino a quelli considerati più tradizionali, come New York o la California. E proprio gli Usa battezzeranno un obiettivo ambizioso che, però, finora è sfuggito all’Italia, forse perché poco ha creduto in uno dei suoi principali settori industriali: dare vita a una grande mostra antologica sulla moda e il tessuto italiano, enfatizzati invece molto all’estero (l’anno scorso, per esempio, era stato il Victoria & Albert Museum di Londra a celebrare i 70 anni di moda italiana).
Il progetto dovrebbe vedere la sua prima realizzazione a gennaio 2016 (e, dunque, con fondi ulteriori rispetti a quelli di oggi) a New York in occasione di Unica Usa. L’idea del ministero è proseguire il discorso iniziato con “Bellissima”, la mostra sull’alta moda italiana (1945-1968) da poco inaugurata al museo Maxxi. Tra le iniziative, un ruolo è stato destinato a Roma. Non però quello di palcoscenico dell’alta moda (è dei giorni scorsi la decisione dell’agenzia AltaRoma di sospendere le sfilate previste per gennaio a causa della mancanza di fondi) ma piuttosto di talent scout. Il ministero ha, infatti, deciso di sostenere “Who is on next”, organizzato Franca Sozzani, che ha l’obiettivo di lanciare sui mercati mondiali giovani stilisti di tutto il mondo che utilizzino tessuti e prodotti italiani. Come mai non le sfilate? “Who is on next ci sembra – risponde il vice ministro – un progetto innovativo che possiamo portare avanti anche senza Comune e Regione (che sono tra i partner di AltaRoma, ndr) e che si salda con le iniziative per giovani talenti di Milano e Firenze. Sulle sfilate di Roma o c’è un grande piano complessivo o è inutile tentare”. Alla base del piano dello Sviluppo economico c’è, però, un’idea comune, ed è quella di muoversi davvero come un sistema. “Il progetto, condiviso con tutti gli attori del sistema, parte dal presupposto che la moda italiana debba d’ora in poi presentarsi sui mercati mondiali in modo strutturato e che quindi tutta la filiera debba muoversi con un’unica strategia”.